Prima di investire, e quindi acquistare uno strumento finanziario, occorre essere consapevoli delle sue caratteristiche. Per valutarne il livello di rischiosità è indispensabile tener conto di più fattori: oltre alla capacità di rimborso da parte dell’emittente, e ad altri elementi, tra cui la liquidità dello strumento in quanto tale, bisogna anche tener conto in che misura partecipa o meno al cosiddetto processo di “bail in”.
Le regole europee sulla risoluzione delle crisi bancarie prevedono infatti l’utilizzo di risorse finanziarie interne: nel concreto, questo meccanismo impone la partecipazione alle perdite patrimoniali da parte dei risparmiatori qualora in possesso di determinate attività finanziarie emesse dalla banca in difficoltà. Marina Maghelli del Cda di Efpa Italia, una delle affiliate di Efpa Europe ci spiega come.
«Dopo la crisi finanziaria del 2008, molti governi hanno dovuto salvare le banche in difficoltà utilizzando fondi pubblici. Tutto ciò ha generato un aumento del debito pubblico, il malcontento tra i contribuenti e un rischio di azzardo morale tra le banche che potevano contare sul salvataggio statale. Per questi motivi dal 1° gennaio 2016 l’Unione Europea ha introdotto la Direttiva n. 2014/59 (BRRD) per la risoluzione delle crisi bancarie attraverso il bail-in, un meccanismo che impone agli investitori e ai correntisti di partecipare alla risoluzione di una banca in crisi. In questo modo è possibile evitare che il suo salvataggio sia effettuato mediante impiego di fondi pubblici, ossia il “bail-out”, o salvataggio dall’esterno».
Marina Maghelli, componente del cda di Efpa Italia
Nello specifico, in caso di dissesto o rischio di dissesto di una banca, azionisti e creditori sono chiamati a contribuire al suo salvataggio seguendo un ordine ben definito che può comportare per il risparmiatore la perdita parziale o totale del capitale investito. «Le azioni e gli altri titoli di capitale, assimilabili alle azioni, emessi dalla banca sono le prime attività finanziarie ad essere interessate; seguono le obbligazioni subordinate, passibili, nei casi meno gravi, di conversione in azione; successivamente, le obbligazioni ordinarie non garantite e non subordinate; per ultimo i depositi bancari, ma solo per l’importo eccedente i 100mila euro».
«In ogni caso» conclude Maghelli «è buona norma per il risparmiatore adottare una strategia di gestione del rischio basata sulla diversificazione degli investimenti e su un’attenta analisi della solidità dell’istituto bancario. Quest’ultima può essere valutata, ad esempio, attraverso indicatori patrimoniali come il Cet1 (Common Equity Tier 1) o il Tcr (Total Capital Ratio), che misurano la salute finanziaria della banca».