L’introduzione delle tecnologie predittive basate sull’IA nella gestione patrimoniale sta trasformando processi, strategie d’investimento e ruoli professionali. Le istituzioni finanziarie necessitano di figure specializzate, come data scientist ed esperti di machine learning, capaci di ottimizzare modelli predittivi e tradurre grandi quantità di dati in insight strategici. L’IA non sostituisce i ruoli tradizionali, ma li arricchisce, trasformando i classici consulenti finanziari in facilitatori tecnologici capaci di tradurre algoritmi in raccomandazioni d’investimento personalizzate.
Molte istituzioni finanziarie in Italia, attraverso un modello unico di riferimento di un grande istituto bancario, stanno adottando con decisione questa trasformazione, attraverso la creazione di interi dipartimenti dedicati all’AI Transformation e l’introduzione di nuove figure professionali, come il chief artificial intelligence officer. Queste realtà stanno scoprendo che il vero valore dell’intelligenza artificiale non risiede solo nelle sue capacità analitiche, ma anche nella possibilità di liberare il capitale umano da attività ripetitive, permettendogli di concentrarsi su compiti strategici. L’IA, infatti, permette di analizzare dati complessi e simulare scenari futuri con una velocità e precisione ineguagliabili. Tuttavia, il contesto e il significato delle informazioni generate dipendono dall’intelligenza umana. La chiave è integrare le due fonti, secondo l’assunto che “la scelta è il prodotto di un giudizio, non di un calcolo”.
Bisogna tenere in conto, però, che il processo non è, e non sarà, privo di rischi e insidie. Le “allucinazioni” dell’IA, ovvero risposte errate dovute a bias cognitivi o a dati imperfetti, rappresentano un problema critico nell’orizzonte temporale prossimo. Questi errori possono derivare da dataset incompleti o non aggiornati, che compromettono la capacità degli algoritmi di fornire previsioni accurate. Un ulteriore rischio è rappresentato dalla dipendenza dai dati storici per la proiezione di scenari futuri. Sebbene gli algoritmi predittivi possano anticipare tendenze legate a potenziali crisi, essi si basano su dati storici e non sempre riescono a considerare la complessità dei mercati, spesso influenzati da fattori imprevedibili.
Alessandro Toschi, vicepresidente esecutivo Confassociazioni Banca e Finanza
Guardando al futuro, la possibilità che l’IA predittiva possa emulare, su una scala enormemente più ampia, strategie vincenti come quelle adottate da Warren Buffett, considerato da molti il più grande investitore della storia, rappresenta, oltre a essere una sfida complessa, un’interessante opportunità. Tuttavia, questa automazione introduce un rischio critico: l’assenza di un giudizio umano capace di interpretare i dati non solo sulla base di logiche quantitative, ma anche di elementi qualitativi e contestuali. Inoltre, l’eccessiva fiducia nella tecnologia potrebbe generare un senso di falsa sicurezza tra gli investitori, sottovalutando la volatilità e l’incertezza dei mercati. Come ha detto Buffett, sottolineando la natura imprevedibile dei mercati: «Le previsioni possono dire molto riguardo a chi fa le stime, ma non ti diranno nulla circa il futuro». L’intelligenza artificiale, dunque, non deve essere vista come un sostituto dell’esperienza umana, ma come uno strumento potente per migliorare la comprensione, la gestione del rischio e il processo decisionale negli investimenti.