Quattro mesi fa l’euro valeva 1,12 dollari e adesso naviga molto vicino alla parità. Il 8/10% di guadagno del biglietto verde in così poco tempo non se lo aspettava nessuno. Anzi, molti scommettevano che, con una vittoria di Trump e un probabile aumento del deficit statale Usa, la valuta americana avrebbe perso terreno. Economisti smentiti e scenari nuovi perché il superdollaro sta creando squilibri nelle economie della zona euro e dei Paesi emergenti, Cina in testa. La debolezza delle altre valute favorirebbe le esportazioni verso gli Usa, ma su queste ultime pesano le minacce di dazi della nuova amministrazione. Mentre un dollaro forte esporta nel resto del mondo inflazione, visto che la maggior parte degli scambi internazionali (oltre il 65%) vengono effettuati in valuta americana. In Europa e nel resto del mondo aumentano, tra le altre cose, il prezzo del petrolio e quello delle altre materie prime. Un esempio? L’oro ha toccato la settimana scorsa nuovi record in euro e in sterline, ma è lontano dai massimi in dollari di ottobre scorso quando ha sfiorato i 90 dollari al grammo e ora quota 87. Per il resto del mondo è più costoso comprare oro, per gli americani no. Stesso discorso vale per il petrolio: il Brent in dollari negli ultimi tre mesi è salito del 7,25%, ma in euro è cresciuto di oltre il 12%.
Cosa spinge il superdollaro
A far salire le quotazioni del biglietto verde è una specie di domino. L’economia negli Stati Uniti va benissimo e l’occupazione sale. La Fed, di conseguenza, non ha grande fretta di abbassare i tassi di sconto, mentre i dazi annunciati da Trump fanno pensare a un aumento dell’inflazione negli Usa che induce a una ancora maggiore prudenza da parte della Banca Centrale. I tassi americani sono ancora superiori al 4% e lo resteranno ancora a lungo visto che il presidente della Fed Jerome Powell a dicembre ha ipotizzato solo due tagli nel 2025. In Europa sono già al 3,25% e gli operatori scommettono su quattro tagli quest’anno. Quindi, gli investitori vendono euro e comprano dollari per ottenere a un tasso d’interesse maggiore o per comprare azioni a Wall Street, la Borsa che, secondo la maggior parte degli analisti, sarà quella che andrà meglio nel 2025.
Mal comune nessun gaudio
La forza del dollaro sta mettendo in difficoltà, in modo particolare, Cina e Inghilterra. La prima è frenata dalla deflazione, da una crisi immobiliare che ha spazzato via 18.000 miliardi di dollari di ricchezza delle famiglie e da un indebitamento che si avvicina al 300% del Pil. Con la prospettiva di dazi del 60% annunciati da Trump sulle esportazioni negli Usa, la valuta cinese, il renminbi, è sceso a 7,33 dollari, il livello è il più basso da settembre 2024, al di sotto della quota giornaliera stabilita da Pechino che definisce a quale range la valuta può essere scambiata. Secondo gli esperti di Ubs «lo yuan subirà una pressione al ribasso» e un dollaro forte rischia di ostacolare gli sforzi di rilancio economico e limitare la capacità della banca centrale di abbassare i tassi senza provocare deflussi di capitali.
In Inghilterra il superdollaro si somma a una sorta di sfiducia degli investitori verso il governo laburista. Al contrario di quanto accade normalmente, gli interessi sui titoli di Stato a 10 anni sono infatti schizzati ai livelli più alti dalla crisi del 2008 e i titoli a 30 anni sono sulla soglia più alta dal 1998, mentre la sterlina è in caduta libera ed è ai livelli più bassi sul dollaro da 14 mesi. Una tempesta perfetta.