L’avarizia in età avanzata è insensata: cosa c’è di più assurdo che accumulare provviste per il viaggio quando siamo prossimi alla meta? Marco Tullio Cicerone nel 50 a.C. trattava il passaggio generazionale con le stesse perplessità critiche che a tutt’oggi continuano a permeare l’argomento.
La traslazione di ricchezza è ancora oggi un ostico e innaturale tema di conflitto esistenziale che va a contrapporre immotivatamente la razionalità alla emotività, generando un elevato rischio di discontinuità generazionale. Le motivazioni alla base di questa contraddizione fondano le loro radici su di una atavica mancanza di comune visione strategica generazionale del nostro tessuto imprenditoriale, oltre alla diffidenza verso il cambiamento da parte del fondatore dell’impresa, spesso convinti che chi governerà l’azienda debba essere scelto per appartenenza e non per competenza. In Europa solo il 30% delle imprese a gestione familiare riesce a sopravvivere al primo passaggio generazionale, percentuale che si riduce al 10% quando si parla del secondo e terzo passaggio. È evidente allora come, nel prossimo futuro, le ricchezze verranno tramandate piuttosto che create e questo rende l’argomento ancor più cogente ed urgente. La successione non potrà mai perfezionarsi in un definito e circoscritto istante ma dovrà obbligatoriamente realizzarsi attraverso un processo, un insieme di trasferimenti di conoscenza e responsabilità che possono durare anni e che andranno a terminare con il pieno controllo della nuova generazione, un vero e proprio passaggio multidimensionale.
Nonostante il trascorrere del tempo sia una variabile nota e non certo un cigno nero, viene spesso sottovalutato andando ad acuire così i rischi sia di una inadeguata pianificazione sia di una onerosa ristrutturazione. Si presuppone quindi, come conditio sine qua non, una visione strategica valutata e condivisa da parte di chi guida le imprese capace di minimizzare il divario generazionale andando ad armonizzare emotivamente il cambiamento e l’innovazione. Senza dimenticare la necessità, considerando la complessità della tematica, di promuovere un nuovo paradigma nella formazione manageriale che si dedichi, da molti anni prima del momento del passaggio, ad integrare competenze gestionali, fiscali, umanistiche economiche e digitali. Competenze che possono essere ricercate in prima istanza all’interno della famiglia di riferimento senza però delegittimare in via subordinata la scelta di manager esterni.
Carlo Cidonio, vicedirettore generale Anpib, Associazione nazionale private & investment bankers
Investire in una nuova family governance non si manifesta solo in un trasferimento di proprietà ma in un cambio di “forma mentis” che avrà per forza di cose un impatto su tutta la filiera organizzativa e sull’intero settore di riferimento nazionale, per questo deve essere né sottovalutato né procrastinato ma ultimato nel pieno rispetto dei cicli di sviluppo. Il paradigma è che il “prima” attraverso il “durante” perfeziona il “dopo”. Solo così si potrà creare valore aggiunto senza rischiare un insuccesso generazionale e disperdere valore e ricchezza.