«Incentivare in misura maggiore e in modo più efficace gli investimenti nell’economia italiana rappresenterebbe senza dubbio una misura coerente con la qualità del lavoro che svolgiamo come sistema dei fondi previdenziali negoziali»: ne è convinto Giovanni Maggi, imprenditore lecchese, da anni attivissimo nell’associazionismo confindustriale, che presiede Assofondipensione, l’associazione che rappresenta i 32 fondi negoziali operanti nel settore. E in quest’intervista con Economia&Risparmio illumina gli sviluppi che la categoria persegue. «Al fine di incentivare i nostri investimenti nell’economia reale» – riprende – «sarebbe opportuno innalzare al 10% il limite entro cui è possibile godere dell’esenzione dall’imposta sostitutiva sui rendimenti, qualora si investa in attività finanziarie di aziende italiane, ammettendo tutte le tipologie di investimenti (non solo quelli azionari) e semplificando quanto più possibile la normativa per rendere esigibili tali benefici».
Lo chiede perché la vostra categoria vuole impegnarsi di più a supporto dell’economia reale, dunque?
Siamo convinti che occorra stimolare un maggiore investimento di fondi pensione nel sistema produttivo domestico, con particolare riguardo alle imprese non quotate impegnate in processi di crescita, e nello sviluppo infrastrutturale del Paese. Gli investimenti in economia reale stanno guadagnando sempre più importanza, con Assofondipensione e i fondi pensione negoziali in prima linea. Sarebbe necessario un ruolo più incisivo di sostegno da parte del Governo, tramite il Mef, anche rispetto agli ultimi strumenti che abbiamo portato avanti con Cassa Depositi e Prestiti.
E in tutto questo com’è cresciuto il vostro settore?
Dopo il decreto del 1993, il settore è cresciuto grazie alla lungimiranza e all’impegno delle Parti sociali e delle loro espressioni territoriali e di categoria. Con il D.lgs. n.252/2005 è stato poi dato nuovo impulso al secondo pilastro, grazie anche a una imponente Campagna informativa nazionale e al semestre di silenzio-assenso nel corso del quale ogni lavoratore poteva pronunciarsi sulla destinazione del proprio TFR. Nei sei mesi di sperimentazione che vivemmo a suo tempo, ci fu un aumento di iscrizioni dell’80%, poi il trend si è invertito e il ritmo di adesione dei lavoratori ai fondi è sceso al 6% all’anno. Intanto i fondi sono diventati investitori istituzionali di primo piano.
Ma lei si considera soddisfatto della situazione del settore?
Sono passati 30 anni dall’istituzione del secondo pilastro, oggi la previdenza complementare copre quasi il 40% della forza lavoro. Nell’insieme i 32 fondi negoziali hanno 4 milioni di iscritti e 70 miliardi di euro di patrimonio. Cometa ha 13 miliardi di patrimonio, Fonchim ne ha 8. Rispetto agli albori si può senz’altro dire che la previdenza complementare è stata un successo, ma bisogna continuare nel percorso intrapreso con grande impegno da parte di tutti (operatori, Governo, INPS), affinché si arrivi ad una copertura ottimale della platea dei potenziali aderenti
Giovanni Maggi, presidente di Assofondipensione
E qui si innesta la vostra linea di richieste alla politica…
Noi abbiamo chiesto, e insisteremo su questo punto, l’avvio di una nuova campagna informativa istituzionale a favore della previdenza complementare come avvenne nel 2007, con l’entrata in vigore del D.lgs. n. 252/2005, che poi venga ripresa a intervalli periodici. Alla campagna informativa istituzionale deve essere affiancato un nuovo periodo di scelta per tutti i lavoratori dipendenti, che preveda di nuovo l’applicazione del meccanismo del silenzio assenso. Ferma restando la volontarietà della scelta, è opportuno poi revisionare il meccanismo del tacito conferimento del Tfr, al fine di renderlo più efficace. La previdenza complementare è una stampella fondamentale del welfare, per conseguire un trattamento pensionistico dignitoso. Tuttavia, la comunicazione a riguardo è senza dubbio insufficiente, anche perché il tasso di adesione spontanea è ancora troppo basso, e perfino i giovani sembrano essere poco interessati.