Le retribuzioni di Nord e Sud continuano a essere molto distanti. Se gli occupati nelle regioni settentrionali percepiscono una retribuzione media giornaliera lorda di 101 euro, i colleghi meridionali ne guadagnano 75: insomma, i primi portano a casa uno stipendio giornaliero del 35% più “pesante” dei secondi. Questa differenza, sostanzialmente, è dovuta, alla produttività del lavoro; al Nord, infatti, è del 34% superiore al dato del Sud. A livello regionale la retribuzione media annua lorda dei lavoratori dipendenti della Lombardia è pari a 28.354 euro, in Calabria, invece, ammonta a poco più della metà; ovvero 14.960 euro. Ma se nel primo caso la produttività del lavoro è pari a 45,7 euro per ora lavorata, nel secondo è di appena 29,7. Questi aspetti emersi dall’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della Cgia su dati Inps e Istat ripropongono una vecchia questione: gli squilibri retributivi presenti tra le diverse aree del nostro Paese, in particolare tra Nord e Sud, ma molto evidente anche quelli tra le aree urbane e quelle rurali. Tema che le parti sociali hanno tentato di risolvere, dopo l’abolizione delle cosiddette gabbie salariali avvenuta nei primi anni ’70 del secolo scorso, attraverso l’impiego del contratto collettivo nazionale del lavoro (Ccnl).
L’applicazione, però, ha prodotto solo in parte gli effetti sperati. Le disuguaglianze salariali tra le ripartizioni geografiche sono rimaste e in molti casi sono addirittura aumentate, perché nel settore privato le multinazionali, le utilities, le imprese medio-grandi, le società finanziarie/assicurative/bancarie, che tendenzialmente riconoscono ai propri dipendenti stipendi molto più elevati della media, sono ubicate prevalentemente nelle aree metropolitane del Nord. Le tipologie di queste aziende dispongono anche di una quota di personale con qualifiche professionali sul totale molto elevata (manager, dirigenti, quadri, tecnici, etc.), con livelli di istruzione alti a cui va corrisposto uno stipendio importante.
Tra le province vince Milano
Dall’analisi provinciale delle retribuzioni medie lorde pagate ai lavoratori dipendenti del settore privato emerge che, nel 2022, la provincia di Milano è stata quella dove gli imprenditori hanno pagato gli stipendi più elevati: 32.472 euro. Seguono la provincia di Parma con 26.861 euro, quella di Modena con 26.764 euro, la provincia di Bologna con 26.610 euro e quella di Reggio Emilia con 26.100 euro. In tutte queste realtà emiliane, la forte concentrazione di settori ad alta produttività e a elevato valore aggiunto – come la produzione di auto di lusso, la meccanica, l’automotive, la meccatronica, il biomedicale e l’agroalimentare – ha “garantito” alle maestranze di questi territori buste paga molto pesanti. I lavoratori dipendenti più “poveri”, invece, si trovano a Trapani dove percepiscono una retribuzione media lorda annua pari a 14.365 euro, a Cosenza con 14.313 euro e a Nuoro con 14.206 euro. I più “sfortunati”, infine, lavorano a Vibo Valentia dove in un anno di lavoro hanno portato a casa solo 12.923 euro. La media italiana, infine, ammontava a 22.839 euro.
A Lecco si lavora di più
Secondo l’elaborazione dell’Ufficio studi Cgia su dati Inps, nel 2022 il numero medio delle giornate retribuite al Nord è stato di 253, al Sud, invece, di 225. Pertanto, nel settentrione un ipotetico operaio ha lavorato 28 giorni in più, che corrispondono a oltre 5 settimane lavorative “aggiuntive”, rispetto a un collega meridionale. Perché al Sud si lavora meno? Oltre alla presenza di un’economia sommersa più diffusa che nel resto del Paese che, statisticamente, non consente di conteggiare le ore lavorate irregolarmente, il mercato del lavoro è caratterizzato anche da tanti precari, molti lavoratori intermittenti, soprattutto nei servizi, e tantissimi stagionali legati al mondo del turismo che abbassano enormemente la media. Gli operai e gli impiegati con il maggior numero medio di giornate lavorate durante il 2022 sono stati quelli occupati a Lecco (264,2 giorni). Seguono i dipendenti privati di Vicenza (262,6), Biella (262,4), Padova (261,9), Treviso e Bergamo (entrambe con 261,6). Le province, infine, dove i lavoratori sono stati “meno” in ufficio o in fabbrica durante il 2022 sono quelle di Foggia (210,5 giorni), Rimini (209,9), Nuoro (203,4) e Vibo valentia (190,8). La media italiana è stata pari a 244,4 giorni.