Constatato il cambio di passo delle banche centrali, l’attenzione degli investitori italiani si è subito spostata sulla manovra economica per il prossimo anno e sulle novità in arrivo dal fronte della previdenza. Tante sono infatti le proposte al vaglio del Governo per riorganizzare l’attuale assetto pensionistico e disinnescare una crisi demografica che rischia di costare al nostro Paese un terzo del Pil entro il 2050. Due su tutte, però, hanno acceso il dibattito: l’ipotesi di sostituire Quota 103 con Quota 41, ma richiedendo anche il versamento di almeno 12 mesi di contributi prima dei 19 anni d’età, e l’obbligo di destinare a fondo pensione il 20-25% del proprio Trattamento di fine rapporto. Per Alberto Brambilla, intervenuto ai microfoni di FR|Vision in qualità di presidente del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali, si tratta tuttavia di provvedimenti ininfluenti.
Dal suo punto di vista, la prima cosa che rende insostenibile il nuovo regime è l’impatto sui conti pubblici. «Pesa per oltre un miliardo sulle casse dello Stato», ha spiegato l’esperto, che ha poi sottolineato altre due criticità: si rivolge a una platea ridotta, quei pochi che hanno avuto un impiego continuativo fin dai 16 anni, e impone a chi rientra nei requisiti ma ha circa 60 anni una diluizione della prestazione pari al 21%. «Più corretto sarebbe lasciare il requisito di 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva ed eliminare il differimento tra maturazione e prima rata del trattamento pensionistico», ha puntualizzato.
Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
Quanto alla proposta sul Tfr, è opinione di Brambilla che non abbia basi giuridiche. «Il Trattamento di fine rapporto è una retribuzione differita la cui destinazione non può venire imposta», ha chiarito. A sembrargli sbagliato è però anche il focus dell’intervento, e per un motivo semplice: anziché a una resistenza del pubblico, la scarsa diffusione del secondo pilastro va imputata alle difficoltà delle Pmi nell’ottenere credito bancario e quindi nel non usare le risorse pensionistiche per finanziare spese correnti. Ecco allora la controproposta: «Bisognerebbe reintrodurre il fondo di garanzia eliminato dal Governo Prodi, tassare i fondi pensione a riscatto e ridurre le imposte dall’attuale 20%».
Sul resto, la previsione dell’accademico pare piuttosto pessimista. «La scarsità di risorse pubbliche e i vincoli derivanti dal Piano strutturale di bilancio allo studio del Governo per soddisfare le richieste di Bruxelles lasciano intuire che non ci si potrà aspettare più di qualche aggiustamento all’attuale impianto», ha affermato.