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Borse, è un errore dire basta all’ecologia
Di Sergio Luciano |
Pubblicato il 10 Luglio 2024
Gli eccessi degli ultimi anni stanno mostrando la corda, ma le nuove regole europee impongono un’adesione vera ai principi Esg

Il sacro fuoco dell’ambientalismo si sta esaurendo? Non brucia più sul braciere di Wall Street? Sì, parrebbe così. Eppure è sbagliato considerare, per questo, terminata una moda. Anzi: per molti versi è proprio arrivato il momento di investire nella sostenibilità, ossia nei titoli delle società quotate nelle Borse mondiali che davvero s’impegnano per operare rispettando i principi Esg: cioè difendendo l’ambiente (“E” come environment), l’impatto sulla società delle loro attività economiche (“s” come social) e il buon governo dell’impresa, per costruire valore durevole nel tempo e non effimero (“g” come governance).
Ma andiamo con ordine. È sbagliato dire basta all’ecologia: questo è il punto. Perché il business dei prossimi dieci, anzi vent’anni ruoterà – ormai è deciso – attorno all’ambiente. Certo: la sbornia degli ultimi tre o quattro anni è passata. Ad esempio, negli Stati Uniti 27 fondi di investimento Esg attivi da anni… nel primo semestre di quest’anno sono stati chiusi. E non mancano vari altri indizi di crisi.
Eppure… eppure, no! Ci sarà, semmai, una sacrosanta razionalizzata degli eccessi di ieri. Ma il mercato, in veloce maturazione, crescerà. A dare la linea è stata l’Europa, con la sua direttiva sulla “rendicontazione societaria di sostenibilità”, in pratica il bilancio speciale che descrive quel che l’azienda fa (o non fa!) sul fronte Esg. In sigla inglese: Csrd, ossia Corporate Sustainability Reporting Directive. Ebbene, quest’ennesima legge europea – già recepita dall’Italia – è importante perché trasforma in obbligo per tutti, sia pure graduale, quella che è stata finora una volontaria e “graziosa” adesione di alcune società ai valori ambientalisti. Come passare dallo sfizio alla necessità.
Per quest’anno, quattromila società solo in Italia e 50mila in Europa dovranno mettersi in regola. E a partire dal 2026 dovranno redigere la nuova informativa di sostenibilità anche le piccole e medie imprese quotate, gli istituti di credito di piccole dimensioni, e le imprese di assicurazione e riassicurazione di dimensioni piccole-medie: tra 10 e 250 dipendenti; tra 350mila e 20 milioni di euro di stato patrimoniale; tra 700mila e 40 milioni di euro di ricavi netti.
Non a caso, al 30 giugno scorso su 206 aziende quotate all’Euronext Growth Milan ben 68 fanno già il loro bilancio di sostenibilità, anche se lo fanno ancora in base ai loro gusti e dovranno invece, da quest’anno, seguire le nuove regole europee.
Già, ma – potrebbe chiedersi qualcuno – se questi benedetti principi Esg portano solo nuovi obblighi, perché pensare che “premino” le società che li adottano e le valorizzino in Borsa, a tutto vantaggio di chi investe in esse? È semplice. Anche le banche saranno chiamate a rendicontare la loro “fede” ambientalista. E se non dovessero finanziare aziende abbastanza “verdi” sarebbero punite dalle loro severe autorità di controllo. Quindi è chiaro: se le banche si accorgeranno che un’azienda è ambientalmente indisciplinata, non la finanzieranno più. E si sa: senza banche, non si campa. Chi invece per ragioni ecologiche si renderà più “finanziabile”, si accaparrerà le occasioni di sviluppo e i quattrini preclusi agli inquinatori. Accadrà: perciò è giusto investire proprio oggi nelle società più “verdi”.