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Ceto medio nei guai. Peggiora la condizione della classe sociale più estesa: incombe lo spettro della povertà
Di Redazione |
Pubblicato il 28 Maggio 2024
Due persone su tre pensano che le generazioni precedenti vivessero meglio e che le prossime saranno costrette a vivere peggio di quelle attuali

Si assiste da tempo a una lenta erosione del ceto medio italiano, ma ora il fenomeno è accelerato. Oggi il 60,5% degli italiani si sente di appartenere al ceto medio, ma, prima ancora che una questione reddituale, essere ceto medio è una condizione di identità e status sociale percepito. Ma se nel periodo dello sviluppo economico essere ceto medio significava sentirsi parte di un movimento collettivo in ascesa, oggi prevale la percezione di un declassamento socio-economico: il 48,8% vive il timore di una regressione nella scala sociale e il 74,4% ha la convinzione di un concreto blocco della mobilità verso l’alto.
Questi sono i dati che emergono dal Rapporto Cida-Censis “Il valore del ceto medio per l’economia e la società” commissionato dalla Confederazione Italiana dei Dirigenti e delle Alte Professionalità. «L’obiettivo» ha spiegato il presidente di Cida, Stefano Cuzzilla «è comprendere qual è la percezione del Paese rispetto a quella classe intermedia, né ricca né popolare, che dal “Miracolo economico” in poi ha rappresentato il nostro cuore produttivo, e dare urgentemente voce a quasi metà della popolazione che sta vivendo una fase di “declassamento” e non è adeguatamente ascoltata».
Il periodo attuale, secondo il rapporto, è dominato da una paura palpabile del blocco della mobilità sociale «non solo per i redditi più bassi», come specificato da Cuzzilla, «ma anche per le fasce di reddito fino a 50.000 euro e oltre, che sono quelle che trascinano consumi e investimenti. La parabola del ceto medio è la parabola vissuta dalla maggioranza delle famiglie italiane in più generazioni, passata da alti ritmi di crescita del Pil al suo rallentamento».
I dati sono emblematici: il Pil italiano è cresciuto del +41,6 tra il 1970 e il 1980, del + 25% nel decennio successivo, per poi proseguire nel lento declino, che segna solo un +17,9% negli anni Novanta, fino a crollare al +3,5% nel quadriennio 2019 – 2023.
Questo downsizing economico ha coinvolto gli europei in diversa misura: in un ventennio, dal 2001 al 2021 il reddito pro-capite delle famiglie italiane è sceso del 7,7%, mentre la media europea saliva di quasi 10 punti percentuali, con le famiglie tedesche a +7,3% e quelle francesi a +9,9%.
Ciò spiega perché il presente e il futuro di molti italiani siano segnati dalla paura del declassamento, da una propensione a difendere il proprio status quo più che a migliorarsi, con la convinzione che l’andamento del benessere nel tempo sia decrescente. Un’idea radicata nel Paese, condivisa in pieno dalla maggioranza di persone che si sente parte del ceto medio: il 66,6% degli italiani (il 65,7% del ceto medio) è convinto che le generazioni passate vivevano meglio e il 76,1% degli italiani (75,1% del ceto medio) ritiene che le generazioni future staranno peggio di quelle attuali.Secondo Cida è necessario valorizzare competenza e impegno, anche perché il 57,9% degli italiani non sono adeguatamente premiati (54,9% del ceto medio). L’81% pensa sia giusto che chi lavora di più guadagni di più (80% del ceto medio), e il 73,7% ritiene legittimo e giusto che una persona talentuosa e capace possa diventare ricca (75% del ceto medio). Inoltre di fronte alle complessità del momento attuale, a processi epocali di transizione relativi alle nuove tecnologie o alla sostenibilità, l’87,1% degli italiani è convinto che solo un innesto massiccio e capillare di culture e pratiche manageriali potrà consentire quell’upgrading di funzionalità che oggi è richiesto al sistema Paese Italia.