La società in cui viviamo ha segnato una netta trasformazione rispetto a quelle che erano le priorità delle donne fino agli anni ’70. Supportati dai dati dei rapporti economici e di interesse sociale dell’Inps, dell’Istat e di Eurostat, scopriamo che negli ultimi quarant’anni vi è stata una costante diminuzione dei matrimoni, un progressivo aumento dell’età in cui le donne decidono di sposarsi e un decremento significativo delle nascite, che ha portato il tasso di natalità al 6,4 per mille abitanti nel 2023.
Di contro, negli anni Settanta a “portare lo stipendio a casa” era solo una donna su tre (33,5%), oggi a lavorare è quasi una donna su due (48,1%). Le serie storiche dell’Istat ci dicono che dal 1977 le lavoratrici sono aumentate del 54,9%, passando da 6,1 milioni a circa 10 milioni. Una vera rivoluzione tutta al femminile, se pur lontana dalla media di altri Stati europei. L’era della casalinga per scelta è ormai finita, naturalmente con le dovute eccezioni. Il primo obiettivo delle donne di oggi è il raggiungimento di un’indipendenza economica tramite una posizione lavorativa che consenta loro un progetto di vita autonomo e che non le faccia più dipendere dall’uomo. Un traguardo, quello lavorativo, che spesso comporta importanti sacrifici e dure gavette professionali, specialmente nel campo del lavoro autonomo. Solo dopo, forse, le trentenni di oggi decidono di mettere al mondo un figlio, sempre che abbiano un compagno o un marito che sia disposto a condividere il carico degli impegni famigliari. Non è un caso, infatti, che siamo passati dall’avere i congedi per le mamme lavoratrici a quelli per entrambi i genitori. Ma sono ancora pochi gli uomini che decidono di usufruire di tali agevolazioni perché in Italia è ancora forte il principio che il carico famigliare debba essere gestito dalla donna.
Una situazione difficile aggravata anche dal famigerato gap salariale. Secondo l’Istat, i fattori che determinano le caratteristiche contributive del lavoro svolto dalle donne sono fortemente influenzati da un’occupazione ridotta, in larga parte precaria e in settori a bassa rimuneratività o poco strategici. A questo si aggiunge una prevalenza del part-time, che riguarda quasi il 49% delle donne occupate, contro il 26,2% degli uomini. Dai dati Eurostat apprendiamo che da noi la differenza nella retribuzione oraria lorda tra i due sessi è pari al 5% (al di sotto della media europea).
Federica De Pasquale, vicepresidente nazionale Confassociazioni
Davanti ad un simile scenario, viene da chiedersi se scelte politiche che hanno portato a norme che imporrebbero la parità salariale, che prevedono azioni positive per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e della natalità, ci abbiano aiutato realmente. Forse in parte, ma le donne vogliono in primis un aiuto per raggiungere un’autonomia finanziaria che garantisca loro un futuro libero da condizionamenti di qualunque tipo. Pensiamo che, come emerge dai numeri forniti dalla Banca d’Italia, il 37% delle donne italiane non dispone di un conto corrente e oltre l’11% lo ha cointestato. Il livello di competitività imposto dalle nuove tecnologiche, come l’intelligenza artificiale, anche sul lavoro, rischia di rendere più difficoltoso il raggiungimento di una reale autonomia finanziaria. Ma, come sappiamo, le donne hanno una marcia in più per affrontare ogni difficoltà.