Un ottovolante da capogiro come quello dei bitcoin sui mercati finanziari non s’era mai visto. E di fatti, non c’è niente da vedere: i bitcoin sono titoli senza nessun riferimento materiale, non rappresentano niente, sono virtuali. Come le figurine dei giocatori che si scambiano i ragazzini, anzi ancora meno. Eppure, continuano a risalire di prezzo – in questo momento sulle piazze finanziarie digitali valgono circa 60 mila dollari l’uno – dopo i periodici crolli. E c’è di più: i bitcoin sono “figli” di un algoritmo abbastanza misterioso che ne può produrre un numero limitato, con le caratteristiche originarie. Il tasso di produzione rallenta ogni quattro anni, per volere dei misteriosi inventori. L‘ultimo rallentamento è stato quattro giorni fa: per cui la creazione di “nuovi” Bitcoin da immettere sul mercato, che era da 4 anni di 900 pezzi al giorno nel mondo, è scesa a 450. Fenomeno che dovrebbe incrementare la scarsità del bene (“bene” si fa per dire) sul mercato e farne salire il prezzo. Ma che significa tutto questo? Che sicurezza danno i bitcoin di valere ancora qualcosa domani?
Proprio nessuna sicurezza, neanche la benché minima. E dopo i tanti avvisi inascoltati delle banche centrali e delle autorità di controllo dei mercati, si è autorevolmente aggiunta Mediobanca, al coro di allarmi. L’istituto ha mandato una mail di avvertimento ai suoi clienti per metterli in guardia contro gli «investimenti in strumenti finanziari con sottostanti criptovalute come i Bitcoin, ad esempio Etc, Etf o Etn quotati», perché «come reso noto dalle Autorità di Vigilanza italiane ed europee tali strumenti sono caratterizzati da un elevato livello di rischiosità ed hanno scopi principalmente speculativi; non rappresentano pertanto un investimento adatto per la gran parte dei risparmiatori».
Fermi tutti: capiamoci. Chiunque ha diritto di buttare i suoi soldi come vuole e dove vuole. Champagne, sesso, casinò. Ma li spende in un mercato regolamentato, deve trovarci quel che si cerca nelle regole: certezze. Non a caso, fino a poco fa, le criptovalute venivano comprate e vendute su piattaforme digitali private, fuori da ogni controllo. Fino al 10 gennaio scorso, per la precisione. Quando la Sec – Security exchange commission, la Consob americana, che dovrebbe vigilare sui titoli quotati a Wall Street e dintorni – ha deciso, ahinoi, di autorizzare gli scambi ufficiali degli Etf sui bitcoin. Fermi tutti: che sono gli Etf? Sono dei fondi di tipo speciale che contengono determinati tipi di titoli. È come comprare un paniere con dentro la frutta. Non acquisti direttamente la frutta, ma è come se lo facessi…
Quando questo avveniva, le quotazioni dei Bitcoin stavano attorno ai 20 mila dollari, in un mese si sono triplicate. Come se la Sec avesse sdoganato il Bitcoin. Neanche per idea. Restano un purissimo azzardo, ad alto rischio di volatilità ed anche di divieto, perché una cosa è sicura: i bitcoin sono usatissimi tra malavitosi internazionali per regolare le partite in sospeso tra loro. Come unità di conto al riparo dai riflettori delle banche ufficiali. Sentiamo ancora Mediobanca: «Le criptovalute non sono attualmente soggette alle norme in materia di trasparenza dei servizi di investimento e sono sprovviste delle protezioni e dei meccanismi di tutela offerti dagli investimenti tradizionali». Insomma: noi possiamo fare a meno dei Bitcoin. Forse i mafiosi no. Dalla parte di chi vogliamo stare?
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Mediobanca lancia l’ennesimo allarme: le criptovalute sono un pericolo
Anche se sono inserite in altri strumenti finanziari, le valute digitali hanno un elevato livello di rischiosità, hanno scopi principalmente speculativi e non sono adatte per la gran parte dei risparmiatori