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Le difficoltà di Tim le pagheranno gli utenti
Di Sergio Luciano |
Pubblicato il 12 Marzo 2024
La divulgazione del piano industriale si è rivelato un disastro per l’ex monopolista che ha perso quasi un quarto del suo valore in Borsa: troppi debiti e ricavi incerti. Per risollevare l’azienda le tariffe dovranno essere aumentate

Finirà così: che a pagare i gravi errori dei governi degli Anni Novanta sulla privatizzazione di Telecom saranno i consumatori italiani. È l’amara morale che circolava venerdì scorso tra gli operatori del settore più avveduti dopo il capitombolo in Borsa subito dal titolo di Tim, la ex Telecom (e prima, Sip) – che ha perso addirittura il 23,7% del suo valore nella sola seduta di giovedì – subito dopo la divulgazione del piano industriale che il management che ha voluto chiamare “Free to run”, libera di correre.
Al piano, presentato dall’amministratore delegato Pietro Labriola, il mercato non ha creduto. È un piano che dà per scontata la vendita della rete fissa – la cosiddetta Netco – alla Open Fiber, azienda pubblica incaricata appunto di unificare possesso e gestione dell’infrastruttura digitale italiana in banda larga, e postula dalla cessione un introito di 14,2 miliardi di euro ma non dà la cifra del debito netto iniziale, bensì unicamente l’obiettivo di leva finanziaria (rapporto tra debito ed ebitda) di 1,6-1,7 volte. Troppo ambiziosa, evidentemente, secondo gli analisti, anche la previsione di ricavi in crescita del 3% medio annuo, dai 14,4 miliardi proforma del 2023, e un margine operativo dell’8%, partendo dai 3,5 miliardi del 2023.
Ma perché finiremo – o almeno rischiamo! – di pagare noi questi problemi della ex Sip? È semplice, purtroppo. Perché finora l’Europa ha difeso gli interessi dei consumatori a pagare tariffe telefoniche (relativamente) basse vietando le fusioni tra gruppi, in altri Paesi susseguitesi a raffica nei passati vent’anni. Oggi nel Vecchio Continente gli operatori di rete mobile con più di 500 mila clienti sono 45; in Cina sono solo quattro, negli Stati Uniti otto. Avete capito la differenza? In quei Paesi i concorrenti sono pochi, si accordano e alzano i prezzi. In Europa sono tanti e non riuscendo a fare accordi tra tutti, lasciano i prezzi bassi. Insomma, viva l‘Europa.
Però capiamoci: non è che qui in Europa usare la rete telefonica costi così poco. Il guaio è che Tim (come anche altre aziende telefoniche europee) nei meravigliosi Anni Novanta si è indebitata all’inverosimile contando su una redditività stellare, di circa il 50%, che si è poi ridotta, proprio perché la concorrenza – dello stesso Stato, attraverso l’Enel e grazie a Franco Tatò con Wind, e dei cinesi di Hutchison Whampoa con 3 Italia – ha tenuto i prezzi più bassi. I piani dei finanzieri che avevano spolpato Telecom attraverso l’Opa di Olivetti, scaricandole in pancia i debiti contratti per comprarsela, sono stati ridimensionati, e quelli si sono squagliati ingloriosamente ma comunque arricchiti, lasciando sulla groppa di Telecom una montagna di debiti, quasi 30 miliardi di euro.
In concreto, sono stati gli scalatori del ’99 a far fare debiti a Telecom, non le tariffe basse. Ma intanto l’azienda, indebitatissima, è stata schiacciata dal peso degli interessi e ha dovuto, o voluto, continuare comunque a pagare i dividendi ai nuovi azionisti, tra i quali peraltro a lungo un feroce concorrente in Sudamerica, la spagnola Telefonica, e poi la francese Vivendi, che pure puntava soprattutto ai clienti di Telecom. E di conseguenza, Telecom – dovendo pagare gli interessi sui debiti e i dividendi ai soci – ha smesso di investire, lasciando incurato il digital divide in Italia.
Una stortura alla quale dal 2010 vari governi hanno cercato di porre rimedio ma senza successo fino al progetto Open Fiber, costoso però, e incompiuto: infatti il vero problema sia di Open Fiber sia di Tim, è che nell’insieme le due aziende hanno almeno 5000 dipendenti in più dei valori massimi di mercato, e quindi troppi costi. Già: ma non è pensabile che oggi un qualsiasi governo trasformi Tim in un’Alitalia telefonica, con sussidi, cassa integrazione a zero e simili spese.
Quindi? Quindi non resterà che aumentare le tariffe, o permettere una serie di fusioni tra aziende, che condurranno comunque all’aumento tariffario. Pagheremo noi, mentre gli scalatori di Telecom – e i loro protettori politici di allora – ancora si leccano i baffi.