Ormai dovremmo aver finalmente capito il valore della globalizzazione: chi non ha materie prime o forza lavoro a basso costo ha maggiore convenienza a comprare tali beni o servizi fuori piuttosto che produrli in casa. E sarà sempre più così, nuova guerra fredda o meno.
Altro che reshoring autarchico di cui tutti parlano. Sempre, naturalmente, che il mondo abbia capito che, come nella finanza, nelle materie prime o nell’energia, la globalizzazione va comunque gestita attraverso diversificazione e risk management.
E, dunque, niente cigni neri imprevedibili: siamo nell’era dei cigni bianchi. La Banca Mondiale aveva 320 milioni di dollari di bond sul rischio pandemia che scadevano il 15 luglio 2020. E che Putin facesse guerre era un dato di fatto per il suo track record precedente. Come dire: cigni neri, zero. Stiamo scontando un solo grande peccato: quello di non aver fatto vero risk management.
Anche perché i mercati si fanno sulle aspettative e sulla valutazione dei rischi. Per questo, come per il colesterolo, bisogna distinguere tra l’inflazione buona e quella cattiva. La prima, quella buona, derivava da fiammate improvvise di crescita economica. L’inflazione del 2021/23 nel sistema USA, è stata un’inflazione di crescita perché, nonostante l’aumento dei prezzi, non ha distrutto nel medio periodo domanda aggregata. Lo vediamo nei primi dati del 2024.
Ed ecco perché il problema vero è stata l’inflazione cattiva 2022/23 nella UE, quella generata dalla speculazione bellica sull’energia che ha portato i prezzi verso aumenti immotivati nei servizi finanziari, nella logistica, negli alimentari. Una speculazione enorme, anche perché qualcuno più furbo ha tentato di recuperare quanto aveva perso durante la pandemia.
Un fenomeno pericoloso perché ha generato una crescita dei prezzi che ha interagito con i costi di produzione e con i salari. D’altra parte, alle banche centrali spetta il compito di ridurre la velocità di circolazione della moneta per provare a diminuire l’inflazione: e così è stato con il più violento aumento dei tassi di interesse che le serie storiche abbiano mai conosciuto.
Ma tutto questo potrebbe portare a una riduzione della crescita e a un possibile aumento temporaneo della disoccupazione. Tutto questo non è successo per una serie di motivi strategici. Il più importante è che il nostro Paese ha preso tutta la quota possibile del Pnrr: più di 191 miliardi di cui circa 80 a fondo perduto.
Angelo Deiana, presidente di Confassociazioni
Le conclusioni sono evidenti. L’aumento dei tassi di interesse e la diminuzione della domanda di prestiti, è una conseguenza di fenomeni globali come la pandemia, le guerre e il costo dell’energia. Ora l’inflazione sembra rientrare a seguito della tenaglia degli aumenti dei tassi delle banche centrali ma gli ultimi dati sull’inflazione USA in crescita dei giorni scorsi raccontano una storia sola: l’ultimo miglio è sempre il più difficile.
Anche attraverso gli investimenti generati dal Pnrr, l’atterraggio morbido per la nostra economia è forse possibile, ma dobbiamo sempre fare attenzione alla spirale prezzi/salari.
Un orizzonte da perseguire. Un orizzonte alternativo al sentiero triste della decrescita infelice.