Seleziona una pagina

ARTICOLI

Stellantis prepara tagli per guadagnare molto di più
Di Sergio Luciano |
Pubblicato il 13 Febbraio 2024
I costi della conversione all’elettrico del settore verranno recuperati spostando gli impianti dove il costo della manodopera è più basso

Europa dell’Est, Marocco, Turchia, al massimo Spagna: ecco i Paesi su cui punta Stellantis per trasferirvi le produzioni automobilistiche che progetta di chiudere, sia pur gradatamente, in Italia e anche in Francia. Altro che patriottismo: l’indifferenza per la bandiera non vale soltanto per John Elkann – che dell’Italia si preoccupa relativamente – ma appunto anche per i soci francesi, che a loro volta sono interessati solo, o soprattutto, al denaro. Elkann, peraltro – diciamolo – è italiano per modo di dire, essendo nato a New York e cresciuto tra Gran Bretagna, Brasile e Parigi. I francesi qualche grana l’avranno, invece, se continueranno a tagliare a casa loro, visto che dopo Elkann il secondo socio di quell’azienda è direttamente lo Stato…
Eppure, e purtroppo, così sarà: lo dicono convinti tutti gli analisti industriali più autorevoli. Le complicatissima riconversione del settore automobilistico all’elettrico genera costi che non potranno essere coperti adeguatamente dai contributi pubblici. Una parte andrà recuperata inserendo con l’intelligenza artificiale nelle fabbriche e risparmiando, così, sul personale; un’altra, trasferendo i nuovi impianti in Paesi a basso costo del lavoro, come sta fa Stellantis. Che tra l’altro, da quando si è saputo che non produrrà in Italia il famoso milione di auto promesso, e semmai taglierà l’organico, ha conosciuto in Borsa un rialzo di oltre il 10%: i mercati, cinici, brindano sempre ai licenziamenti, purché siano fatti, come in questo caso, in nome del dividendo.
E c’è di più, o di peggio: la corsa all’elettrico in atto nel settore dell’auto rischia di essere il classico conto fatto senza l’oste. Per conseguire gli obiettivi di sviluppo dichiarati, le industrie dell’auto dipendono in tutto e per tutto dagli Stati: non per i contributi, o non solo, ma per le reti di ricarica, che vanno autorizzate appunto dagli Stati e connesse alla rete elettrica generale dalle società pubbliche delle infrastrutture elettriche (in Italia, Terna) che investono secondo priorità diverse da quelli dei signori delle quattro ruote.
E non basta: se la più qualificata azienda dell’automobile elettrica mondiale – che non è Tesla e neppure Byd, ma è Toyota – continua a dire che nel mondo si elettrificherà al massimo la metà dei veicoli, continuando l’altra metà ad andare a benzina (per quanto verdissima), qualche domanda sul senso dell’attuale bulimia elettrica-automobilistica dovremmo porcela.
Mettiamocelo in testa: il capitalismo d’oggi funziona così. Guardiamo alle sette aziende più importanti del settore tecnologico: Alphabet (cioè Google), ha tagliato 12 mila posti in un anno, eppure ha fatto il 20% di utile netto; Microsoft ne ha tagliati quasi 2000, eppure non ha mai guadagnato così tanto; Spotify ha annunciato il taglio del 17% del suo organico. E vanno tutte a gonfie vele, in Borsa. Fa bene Elkann a smentire la fusione tra Stellantis e Renault: non è decisa. La si farà soltanto quando i soci saranno sicuri di poterci guadagnare molto, anche a costo di tagliare più posti del previsto. Se no, saranno tutti di nuovo patrioti.